Nato il 18 dicembre 1937 a Guardia di Folgaria, Cirillo Grott ha frequentato la scuola d'Arte di Ortisei (ove si legò in amicizia con gli scultori Livio Conta, 1939, ed Adolf Vallazza, 1924) e quindi l'Accademia di Belle Arti a Roma, seguendo i corsi del maestro Pericle Fazzini (1913 - 1987).
All'inizio degli anni sessanta si trasferì in Svizzera dove lavorò presso uno scultore; in quel periodo realizzò le sue prime opere che furono esposte in una collettiva a Losanna. In seguito ritornò ad ortisei dove lavorò assiduamente ad altre sculture che furono esposte prima in una mostra a Firenze e quindi a Monaco di Baviera (Lassù imparai a vedere le forme del legno, in quella valle che, pur fredda e ostinata, mi avviava a seguire la mia fantasia, a ricercare il mio io. Erano troppo convenzionali quegli uomini del legno, con le loro Madonne dipinte e commerciali, con i loro visi da soldi, commercianti di Cristi lucidati, caparbi nel loro mestiere. C'erano, però, anche dei buoni maestri dell'anatomia).
Nel 1963, a Rovereto, aprì un suo atelier che in seguito venne affiancato dalla Galleria Paganini. Iniziò da quel momento un'intensa attività espositiva personale e di organizzazione di mostre altrui. Si dedicò anche alla pittura e scrisse molte poesie. Viaggiò spesso e portò le sue opere alle più importanti rassegne in Italia e all'estero (Trento, Bolzano, Roma, Milano, Salisburgo). Morì prematuramente nel 1990, il 27 febbraio.
La sua opera è stata al centro di varie iniziative espositive ed editoriali ed è in continua rivalutazione da parte della critica. Molti suoi lavori sono esposti in permanenza alla Casa Museo di Guardia di Folgaria.
Testi di Pietro Marsilli
Fra gli elementi costitutivi della formazione di Grott la classicità copre senza dubbio un ruolo centrale. I primi referenti del giovane scultore, anche in virtù dell'ospitalità più volte concessagli a Roma dalla zia, sono stati i marmi e i bronzi greci e romani. E non si tratta tanto di un discorso tipologico ma di un gioco ben più sottile: è il trattamento della luce, il senso tattile delle superfici, la ieratica compostezza dei ritratti colti in un'atemporale attesa che Cirillo impara dagli antichi.
La sua dimensione classica riconosciutagli come dote personale e gelosamente preservata, modellata come pensiero di un'arte nobile e superiore, appare naturale, istintiva, ma non inconscia, anzi, educata e protetta. È la sorgente del senso di maestosa classicità di tante sue opere, quello che incute rispetto e ammirazione. Successivamente l'energia espressionista ha trovato modo di esplodere, strutturarsi in forme complesse per poi scomporsi in elementi autonomi e ricomporsi in aggregazioni tridimensionali.
Testo di Pietro Marsilli